Forno del “pan venale” in epoca pontificia, significava pane a pagamento; qui il panicocolo (fornaio) lo faceva e lo vendeva, dandone da vendere anche allo spaccio del pane venale e il tutto era regolato dal Comune. La sua costruzione nel sotterraneo del duecentesco palazzo comunale è ordinata da una rubrica della riforma del 22 settembre 1406. Nel Duecento e Trecento, non esistendo questi due forni, il pane si faceva in altri locali del castello o dello stesso palazzo comunale, nei quali il “panifacola” (fornaio) operava sotto le direttive dei due massarii eletti in collegio comunale, che curavano l’asseptum panis secundum valorem grani; ma naturalmente era possibile cuocere il pane anche sul focolare di casa propria. Inoltre bisogna fare la distinzione tra il forno del pan venale, che appunto fa il pane e lo vende, ed il forno dei particolari, quello più grande, che cuoce pane che le massaie portano da casa.
Il Forno del pan venale è stato in funzione fino agli anni della prima guerra mondiale e l'altro fino al 1953, cioè fino alla morte dell'ultimo fornaio che lo gestiva, Mariano Merollini. Fino a questa data le famiglie andavano a macinar grano al molino e le massaie facevano il pane in casa, avvertite da Mariano circa l'ora in cui dovevano portare il pane al forno, per turni di cottura che cominciavano anche alle due di notte e si protraevano fino a mezzogiorno. Era sempre Mariano che andava di notte per il pane a dare la sveglia a qualcuna, a riscaldare il forno con legna propria, a pagare al Comune una cinquantina di lire all'anno per l'affitto del forno, a riscuotere dalle massaie il fornatico, fatto ora di centesimi per ogni fila di pane che era stata cotta, ora di un pò di pane di quello cotto, in un epoca in cui dalle saccocce non saltava fuori neanche un centesimo. Quando il pane usciva dal forno, il suo profumo si sentiva per tutto il paese.
Guida storica di Fossato di Vico di Luigi Galassi