Racconta

  • Cronache dal passato tra storia e leggenda

    06/12/2016

    Quante volte abbiamo fantasticato di essere trasportati nel passato dalla macchina del tempo per vedere cosa accadeva nella vita quotidiana e  per conoscere luoghi che ora ci vengono descritti dai libri di storia e dei quali rimangono tracce in vetuste costruzioni. Il nostro cronista ci è riuscito e con il suo aiuto racconteremo non solo fatti storici ,ma anche episodi di gente comune  dell’area fossatana nei periodi più rilevanti del nostro passato, iniziando dall’epoca romana.

    Attorno all’anno 220 a.C. il console Caio Flaminio diede inizio alla costruzione di una strada che collegasse Roma con l’Italia settentrionale e inviò cartografi e architetti a studiare e a tracciare il percorso della futura via Flaminia. I tecnici inviati da Roma si erano attendati nella valle del fiume Clasius e  avevano iniziato a traguardare, a disegnare carte, a ipotizzare le migliori soluzioni, ma non ne erano ancora venuti a capo quando incontrarono un uomo che conosceva la vallata palmo a palmo perché tutti i giorni metteva delle trappole per catturare gli animali. L’uomo, non molto alto, dal fisico agile, noto a tutti per la sua abilità di cacciatore e per la profonda conoscenza dei boschi, si fermò incuriosito a guardare quegli stranieri che discutevano. I tecnici lo notarono e gli chiesero come si chiamasse. L’uomo rispose che lui non si chiamava mai ma che gli altri lo chiamavano Menco e aggiunse con semplicità che lui conosceva la zona meglio di chiunque altro e che avrebbe saputo trovare la strada. Fu cacciato in malo modo perche aveva osato intromettersi in dotte disquisizioni cartografiche.

    I giorni passavano e, nonostante la loro scienza, i tecnici erano ad un punto morto e non riuscivano a realizzare il maestoso progetto. Allora tornò loro in mente quell’omino magro come un giunco che si chiamava Menco e inviarono due guardie a cercarlo. Lo trovarono alla fine della giornata di caccia in una taverna a bere con gli amici. Da quel momento Menco salì in cattedra: muoversi nella valle, nei boschi e sui monti era il suo pane quotidiano. I tecnici non proferivano parola, si limitavano a disegnare quello che l’uomo indicava, il punto dove attraversare i torrenti montani, la scorciatoia per oltrepassare la montagna. Ogni sentiero veniva da loro chiamato diverticulum. I tecnici  dissero a Menco una cosa che non sapeva ma che non lo scompose minimamente: le acque che scorrevano sotto i suoi occhi sarebbero arrivate nel Tevere, il fiume che bagna Roma, che secondo le loro misurazioni si trovava a 124 miglia di distanza.

    Fu presa la decisione di far proseguire la strada risalendo la valle in direzione nord, tra il fiume Clasius e le montagne, la cosiddetta facies appenninica. Menco fece da guida ai romani solo per pochi giorni e per una ventina di miglia, poi si congedò perché, essendo uno spirito libero, era stanco di stare al servizio di quelle persone. Lo pregarono di rimanere, ma alle sorgenti del Chiascio indicò loro la strada e tornò indietro. Lo avevano ricompensato con delle monete da lui educatamente accettate anche se non sapeva che farsene di quei dischetti incisi sulle due facce. Sulla via del ritorno un pensiero lo assalì: quelle persone avrebbero modificato la valle per sempre e nulla sarebbe mai più stato come prima.

    La natura in quei luoghi si era conservata integralmente, meravigliosa e ricca di ogni specie animale e vegetale. La facevano da padroni i boschi di alto fusto, dove predominavano le querce o come diceva Menco le cerque, alberi alti anche trenta metri con alla base un fusto che non bastavano tre uomini per abbracciarlo. Più in alto dominavano boschi di abeti e estese faggete con enormi esemplari simili a sculture le cui radici fascicolari abbracciavano come tentacoli il terreno povero di humus.

    Nella valle c’erano anche ampie zone paludose retaggio di un antico lago con molti uccelli acquatici come i grandi aironi grigi che usavano i lunghi becchi come arpioni per catturare i pesci. Picchi e ghiandaie si si spostavano rumorosamente fra gli alberi, le aquile e i falchi volavano alti ad ali distese cercando prede da catturare, l’elegante beccaccia sfrecciava veloce, pernici e starne si alzavano con fragoroso battito d’ ali.

    Grandi cervi, daini, caprioli, lepri abitavano le zone tra il bosco e le radure, mentre Branchi di piccoli cinghiali con le loro zanne scavavano il terreno alla ricerca di radici da mangiare. I predatori come il lupo, la volpe, la lince facevano una selezione naturale catturando gli animali più deboli o malati. Passò molto tempo e per la costruzione della strada, oltre ai soldati romani, furono chiamate a lavorare molte persone del luogo, ma forse chiamare non è il termine giusto perché delle guardie armate andavano nei villaggi e con modi determinati sceglievano uomini, prendevano gli animali da lavoro e nessuno poteva opporsi. I lavori proseguirono per molti anni e per far spazio alla strada furono tagliate  le grandi querce,  che servirono per costruire  i palazzi e le navi dei romani.

    La strada si sarebbe chiamata Flaminia perché voluta dal console Caio Flaminio ed era una “via consolare”. Le strade romane erano realizzate con un preciso criterio, sovrapponendo materiali inerti di differente grandezza e in ultimo posando lastre in pietra levigata.  Poiché erano costruite a strati presero il nome di viae stratae, da cui il termine strada. Vennero posizionate le pietre miliari equivalenti a mille passi di un uomo che permettevano di conoscere esattamente la posizione dei luoghi e le loro distanze.

    Per superare i torrenti che scendeva dalla montagna furono costruiti numerosi ponti in pietra. I romani erano maestri nel costruirli ad arco a tutto sesto, ponendo in risalto gli enermi conci di pietra squadrata proveniente da cave locali. L’arco era realizzato lavorando grandi conci di pietra formando dei cunei, solo al posizionamento dell’ultimo cuneo centrale, o “chiave di volta”, la struttura del ponte diventava stabile.

    Per la costruzione dei ponti si dovevano trovare dei grandi blocchi di pietra, ma nella valle dove si stava costruendo la strada c’erano solo breccia e materiale fragile adatto solo per il fondo stradale. Anche in questo caso i romani si rivolsero a persone del luogo per sapere dove potevano trovare delle grandi pietre. Venne in loro aiuto un uomo di nome Licco, spalle grandi e possenti, mani grandi come pale, abituato ad estrarre la roccia. Conosceva una cava in montagna che portava il suo nome, e fu lui che trovò i grandi e resistenti blocchi di pietra bianca chiamata corniola .

    Furono realizzati quattro Itineraria romani, delle vere e proprie mappe stradali, dove venivano elencate le località situate lungo la Flaminia da Fano a Roma,  Helvillum era distante 124 miglia da Roma. Per sottolinearne l’importanza il villaggio era presente in tutti e quattro gli itineraria e, come ci riferisce l’Antonino (II sec. d.C.) era importante anche il diverticulum ab Helvillo-Anconam, deviazione dalla Flaminia che permetteva l’attraversamento dell’Appennino in uno dei passi di più facile accesso verso l’area marchigiana.

    Lungo la Flaminia nascevano le mansiones insediamenti con servizi idonei al traffico che si svolgeva, e stava nascendo anche Helvillum la Fossato di epoca romana. C’erano  le tabernae per i viandanti comuni, dove ci si poteva rifocillare e pernottare. Per gli animali vi erano le mutationes, dove si potevano ripare i carri, cambiare i cavalli e foraggiare le bestie. Si era dunque formato un piccolo villaggio con le insule le case romane, con un tempio dedicato alla Dea Cupra. In prossimità di una grande curva della strada c’era la taverna del Borgo, dove tutti i viandanti si fermavano attratti dai profumi provenienti dalla sua cucina.

    Gli abitanti erano cordiali e originali come il fabbro chiamato Piapoco forse per il fatto che sapeva vendere bene le sue opere facendo credere al cliente di avere sempre fatto un buon affare, come il Pelota, alto più della media, capelli lunghi e folti, un personaggio colto che conosceva le arti della musica, del teatro ma soprattutto dei giochi. Aveva inventato il gioco del pallone: due squadre all’interno di uno campo rettangolare si affrontavano prendendo a calci un palla che dovevano scaraventare nella area avversaria; inoltre  aveva una memoria portentosa e sapeva citare a memoria i nomi dei giocatori di tutte le squadre. 

    I romani vollero costruire una fontana nel villaggio di Helvillum, e per realizzarla andarono a parlare con Piapoco, che sfoderò la sua abile parlantina e il  solito discorso che faceva a tutti i clienti,  dicendo che in un altro posto avrebbero pagato l’opera molto di più , mentre lui avrebbe  preso pochi soldi per realizzarla. La fontana fu dedicata al Dea Cupra, e  in ricordo della costruzione vi fu affissa una lamina in rame sulla quale Piapoco dimenticò di incidere  il proprio nome perdendo l’occasione di passare alla storia.

    Cubrar. matrer. bio. eso / oseto. cisterno. N. CLV / IIII / su. maronato / u. l. uarie: t. c. fulonie
    Questa fontana è stata fatta per 158 sesterzi per Cupra mater nel maronato di Livio, figlio di Lucio Vario, e di Tito, figlio di Gaio Folonio”

    Ogni riferimento a personaggi reali è puramente voluto. I riferimenti ai fatti storici citati nel racconto sono stati liberamente tratti dalla “Guida storica di Fossato di Vico”, dalla libera enciclopedia Wikipedia, e dal testo della Prof.ssa Luciana Aigner-Foresti.
    Numerosi reperti romani appartenenti all’insediamento di Helvillum sono raccolti nell’Antiquarium comunale e nella chiesa di San Pietro a Fossato di Vico, mentre la lamina in rame dedicata alla Dea Cupra è conservata al museo di Perugia e in copia nell’Antiquarium.

     Il racconto è stato scritto da Franco Manni.