06/12/2016
“Socchiusa la porta di casa, subitaneamente il gelido vento di gennaio strinse il suo volto in un caloroso abbraccio. Come ogni mattina scese le scale rapidamente e corse in auto, poiché le lancette segnavano le sette e mezza passate. Doveva sbrigarsi se non sarebbe voluto arrivare tardi anche oggi. Gettò un’occhiata al cielo e notò con stupore che un azzurro limpido, sfumato da un bianco panna non si addiceva certamente ad una giornata invernale come quella.
Fossato di Vico era un paese piccolino dove la tranquillità regnava oramai dalla fine del secondo conflitto mondiale, senza interruzioni e anche quel giorno gli unici rumori che facevano da colonna sonora a quella fresca mattinata, erano l'auto di Paolo e il cinguettio di qualche passerotto coraggioso che auspicava a una venuta precoce della bella stagione. Imboccato il vialetto e percorsi pochi metri, Paolo cominciò a pensare cosa avrebbe proposto ai suoi alunni quella mattina. Avendo due ore di educazione fisica, sarebbe stato un peccato rinchiudere i ragazzi tra le mura della palestra con quella bella giornata. Tra un pensiero e un altro, tra un semaforo e un incrocio, l'ispirazione non tardò ad arrivare e a farsi spazio tra le altre opzioni.
I parcheggi erano quasi tutti disponibili, eppure era già tardi, la nevicata della sera precedente probabilmente aveva scoraggiato i meno avventurosi sospirò l'insegnate ed con un passo incerto varcò l'entrata della scuola che sembrava deserta. La 3A era una classe da venti alunni in totale, non tantissimi ma neanche pochi; quella mattina tuttavia ne mancavano circa una decina e quando Paolo terminò di fare l'appello propose ai presenti: - “bene ragazzi, oggi ho un'idea da proporvi, invece di fare la solita partita a calcio che ne dite di andare a immergerci nel verde delle nostre montagne?” - circa una decina di minuti dopo il professore e la sua “squadra” erano sulla strada che portava su Cima Mutali.”
Tutti i miei tre figli hanno, almeno una volta, potuto ascoltare questo mio racconto. Non è solamente una mia esperienza personale che voglio tatuare tra i loro ricordi, ma è molto di più; è un contributo che ho potuto dare io stesso al paese nel quale sono nato e cresciuto.
Erano le sette ma il sole splendeva già alto, il cielo era cosi azzurro che all'orizzonte si trasformava in oceano. Avvertii nell'aria un profumo corrotto dalla brezza estiva e dal cinguettio degli uccelli che sui rami mi davano il buongiorno. Inizialmente presi in considerazione l'idea di non usufruire minimamente dell'auto ma poi mi venne un’intuizione migliore, alche guidai fino al Roccaccio per poi imboccare il sentiero lì adiacente e proseguire a piedi. Quella strada l'avevo percorsa migliaia di volte, non andavo quindi in cerca di nuove avventure, ma di ricordi.
Quando ero piccolo, mia madre mi portava sempre su quella strada brecciosa che conduceva fino alla parte più alta della “montagna” dove, ora vi sono le pale eoliche e una distesa verde che si tuffa nel blu dell'adriatico se il cielo è sufficientemente terso. Cavalli, mucche, cinghiali, lepri, volpi … coabitavano e tutt'ora lo fanno, su questi paradisi terrestri atavici ma immutati da secoli, nonostante ciò l'estate non è l'unica stagione che rende giustizia a questi angoli di verde fossatani.
“A feritate Teutonum liberati”. Le campane cantano gioiosamente anche questo cinque agosto, eppure quasi tutti i fedeli accorsi a celebrare la festività della Madonna della Neve sono totalmente ignari della scritta che brilla alla luce del tiepido sole di agosto.
Racconto realizzato da Giuseppe Monacelli